
Timidi campanelli scalzati da un fitto bordone di hurdy-gurdy, piccoli rintocchi di carillon horrorifico, il clarinetto a intonare uno scuro tema medievaleggiante e finalmente il pandero cuadrado a scandire il ritmo, un po’ marcia un po’ danza: si presentano così i Sangre de Muérdago, che tornano ad autoprodursi e a registrare nella natia Galizia, come agli esordi. Non è un caso che ad aprire e chiudere ci siano due traditional strumentali: la bruma pensosa di A porta, che risuona come un corno celtico tra le foreste, e il barocco da camera di A agulla, dominato dai colpi d’archetto di una nyckelharpa.
Poemetto pagano all’insegna di un’epica sommessa, O Xardín non disloca altrove le truppe (eccetto l’incursione nel folklore sefardita di O transo) ma semmai ne fortifica l’accampamento. Carichi di sentimento e nostalgia, i brani planano tra arpeggi austeri e droni megalitici, con le voci contese tra solenni polifonie o invocazioni degne di Brendan Perry. Si migra dai boschi sacri degli Ulver alle radure brulle dei Wovenhand, raggiungendo la vetta espressiva nei quasi 9 minuti di O abismo, metà dei quali monopolizzati dall’impenetrabile ronzio della ghironda, per poi disfarsi in un’edera di scale metalliche.
Maestosa e infinitamente triste, la musica dei Sangre de Muérdago continua a evocare un’antichità perduta come conforto a un presente dilaniato, inseguendo quella “purezza più profonda” profetizzata da Sam Rosenthal. Voce sulla title track della lussemburghese-portoghese Priscila da Costa, artwork dell’illustratore ucraino Artem Rohovyi Trees, edizione in vinile co-prodotta da LaRubiaProducciones.
Tracklist
1. A porta
2. A chave
3. O que mora no lume
4. O transo
5. O xardín
6. O abismo
7. A lamia
8. A gralla
9. De lume e cinza
10. A agulla
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